Il problema della natura dell’offerta: non tutti i lavoratori sono uguali
Ogni mercato del lavoro ha come perno il punto di incontro tra la domanda di lavoro generata dalle imprese, e l’offerta generata dalla forza lavoro. Il concetto, seppur chiaro in questi termini, presenta molti caveat che nascono da una estesa serie di variabili non propriamente economiche: l’attitudine personale del lavoratore a mettere a frutto le proprie competenze, l’interesse verso un particolare settore, le congiunture politico-economiche etc. Tanti elementi esogeni possono spostare il punto di incontro tra domanda e offerta dall’ottimo.
Quello su cui vorrei concentrarmi oggi è il mismatch tra competenze le richieste e quelle offerte dalla forza lavoro, con particolare riferimento alla situazione italiana. Com’è buona prassi, partiamo da alcuni dati.
Troppi laureati in materie umanistiche
Un’indagine OCSE del 2019 (Education at a Glance 2019: OECD Indicators) ha rilevato un’alta concentrazione di laureati in materie umanistiche all’interno della già relativamente esigua parte di forza lavoro in possesso di un titolo di studio. Per precisione essi corrispondevano al 29%. Lettere, belle arti, giornalismo, scienze della comunicazione e altre materie umanistiche rimangono per altro una delle scelte maggiormente diffuse tra chi approccia l’educazione terziaria (il 31% dei nuovi immatricolati nel 2019 optava per questo tipo di studi).
La stessa indagine fa emergere tuttavia che i laureati in materie umanistiche hanno un tasso di occupazione sensibilmente inferiore a quello di cui gode la forza lavoro in possesso di un titolo di studio ICT (78% contro 87%).
La semplice lettura di questi dati ci restituisce una situazione di eccesso di offerta di forza lavoro che ha completato un ciclo di studi umanistici e di relativo vantaggio dei così detti laureati STEM.
La causa di questa asimmetria è probabilmente da rintracciare nel contributo dato dalla forza lavoro di alcune aree del paese che vedono nelle lauree umanistiche il trampolino di lancio naturale per accedere ai concorsi della Pubblica Amministrazione e all’insegnamento.
Ma la pubblica amministrazione è un segmento della forza lavoro meno produttivo e fa riferimento ad un settore con poco valore aggiunto. Esistono settori molto più dinamici che per loro natura richiedono maggiore dotazione di capitale umano: pensiamo al fintech, all’IT, alla meccatronica, ai servizi consulenziali etc.
Ma le aziende hanno bisogno di altro
Il problema è che la domanda di lavoro espressa dalle aziende appartenenti a questi settori non trova nei giovani laureati italiani la giusta risposta in termini di disponibilità di forza lavoro. L’assillo di riuscire a trovare (e tenere presso di sé) collaboratori validi costituisce la principale preoccupazione di qualsiasi software house. Tanto che è diventata ormai prassi per i giovani sviluppatori spostarsi di anno in anno da un’azienda all’altra accrescendo di volta in volta la propria retribuzione.
Notevole è anche la richiesta da parte delle aziende di figure con un background ingegneristico: dal progettista al pianificatore di produzione, dall’esperto di materiali ai tecnici commerciali, tante sono le professionalità che costituiscono la linfa vitali di alcuni settori di spicco per il nostro Paese.
In conclusione
Se gli studenti italiani fossero messi nella condizione di scegliere meglio il percorso universitario (non solo in base alle proprie preferenze contingenti ma anche a seconda dei bisogni espressi dalle imprese), il mercato avrebbe un migliore equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, a beneficio di tutta la forza lavoro. Il sistema scolastico ha, in questi termini, la grande responsabilità di saper indirizzare nella maniera corretta gli studenti verso professionalità tecniche con maggiore coraggio e di fornire una solida base di competenze scientifiche che permettano al maggior numero di risorse umane di affrontare in modo sereno il percorso universitario.
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