PIGNORAMENTO E GESTIONE RITENUTA D’ACCONTO
Quando un datore di lavoro, che si trova ad essere il terzo pignorato, deve applicare la ritenuta d’acconto del 20% sulle somme trattenute e versate al creditore? Approfondiamo.
Nel pignoramento di somme presso terzi intervengono tre soggetti:
- il creditore pignoratizio, cioè il soggetto che promuove l’azione di pignoramento per recuperare il proprio credito da un soggetto debitore;
- il debitore principale, cioè colui che non ha ottemperato al pagamento del debito verso il creditore;
- il terzo pignorato cioè colui che riceve la notifica del pignoramento e la richiesta di rendere noti i propri debiti verso il debitore principale (ovvero la cosiddetta DICHIARAZIONE DEL TERZO PIGNORATO EX ART. 547 C.P.C. ) e che procederà a pagare le somme dovute dal debitore principale 2) al creditore pignoratizio 1) nella misura e nelle modalità stabilite dall’ordinanza del giudice e nei limiti della capienza dei propri debiti verso il debitore principale.
Un datore di lavoro si trova spesso a rivestire il ruolo di terzo pignorato in quanto la prestazione lavorativa dei dipendenti lo mette in condizione di essere debitore nei loro confronti.
Innanzitutto quando il datore di lavoro riceve la notifica del pignoramento e rilascia la dichiarazione della consistenza dei propri debiti nei confronti del dipendente pignorato, deve riservare le somme dichiarate all’estinzione del debito oggetto del pignoramento, quindi inizierà a trattenere e ad accantonare una quota della retribuzione netta mensile (⅕) e non erogherà anticipi di TFR, qualora richiesti dal dipendente.
Dopodiché la quota di retribuzione trattenuta al dipendente sarà versata direttamente al creditore, secondo le modalità stabilite dal giudice nell’ordinanza.
La quota trattenuta e versata può essere soggetta a ritenuta d’acconto. Il riferimento normativo è l’articolo 21, comma 15, legge 27 dicembre 1997, n. 449.
In particolare, la norma prevede che le disposizioni in materia di ritenute alla fonte si applichino anche ai pagamenti eseguiti mediante procedure di pignoramento anche presso terzi in base ad ordinanza di assegnazione.
La ritenuta va operata al ricorrere di talune condizioni:
- il soggetto che effettua il pagamento (terzo pignorato) deve rivestire la qualifica di sostituto d’imposta (requisito soggettivo) e il creditore pignoratizio è un soggetto Irpef;
- il credito deve essere riferito a somme per le quali deve essere operata la ritenuta alla fonte (requisito oggettivo).
Al ricorrere delle suddette condizioni, le disposizioni in materia di ritenute (Titolo III del Dpr 600/1973 e articolo 11, commi 5-7, legge 30 dicembre 1991, n. 413) vanno applicate mediante l’effettuazione di una ritenuta d’acconto nella misura del 20%. Pertanto la quota trattenuta al dipendente sarà versata al creditore pignoratizio al netto della ritenuta di acconto, che invece sarà versata in f24 con il codice tributo 1049.
Da qui seguono anche altri obblighi per il terzo pignorato: obbligo di certificare le somme pignorate e le ritenute effettuate (CU e 770).
Da notare che il datore di lavoro è quasi sempre sostituto d’imposta (ad eccezione dei datori di lavoro domestici e forfettari), quindi il requisito soggettivo è praticamente sempre soddisfatto quando il creditore pignoratizio è un soggetto Irpef.
Come è stato chiarito dall’Agenzia delle Entrate (circolare Agenzia delle Entrate 2 marzo 2011, n. 8/E, paragrafo 1.3) il debitore principale può anche non essere un sostituto d’imposta, e potrebbe essere – indifferentemente – un soggetto Ires o Irpef, ma se il terzo pignorato è sostituto d’imposta e il creditore un soggetto Irpef il requisito soggettivo è soddisfatto.
Quindi l’obbligo di applicare la ritenuta si ha al ricorrere contemporaneamente dei due requisiti soggettivo e oggettivo:
Requisito soggettivo:
i seguenti presupposti devono sussistere congiuntamente:
- il terzo pignorato riveste la qualifica di sostituto d’imposta (articoli 23 e seguenti, Dpr 600/1973);
- il creditore pignoratizio è soggetto Irpef (questo perché la ritenuta che viene operata dal terzo pignorato è a titolo di acconto dell’Irpef dovuta dal creditore).
Pertanto:
- il debitore principale può anche non essere un sostituto d’imposta, e potrebbe essere – indifferentemente – un soggetto Ires o Irpef;
- il terzo pignorato deve essere un sostituto d’imposta, non è rilevante se è un soggetto Ires o Irpef.
Requisito oggettivo:
Il credito per cui si procede al pignoramento è riferito a somme per le quali deve essere operata una ritenuta alla fonte al momento del pagamento in base alle seguenti disposizioni:
- titolo III del Dpr 600/1973 (es. redditi di lavoro dipendente o assimilato, redditi di lavoro autonomo, derivanti da rapporti d’agenzia);
- articolo 11, commi 5-7, legge 413/1991 (somme corrisposte dagli enti eroganti a titolo di indennità di esproprio/occupazione acquisitiva e relativi interessi);
- articolo 33, comma 4, Dpr 42/1988 (es. redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, ecc., indennità percepite per la cessazione da funzioni notarili e da sportivi professionisti).
In sintesi:
La ritenuta non va effettuata nei confronti di creditori soggetti IRES
Il terzo pignorato non opererà le ritenute di legge se il creditore pignoratizio presenta esplicita richiesta (autocertificazione) di procedere in questo modo.
Esempio:
Un datore di lavoro riceve la notifica di un pignoramento nei confronti di un suo dipendente per un debito verso un avvocato per compenso per prestazioni professionali.
Qualora il debito fosse stato estinto direttamente dal dipendente, il pagamento non avrebbe generato obbligo di ritenuta a titolo di acconto; nel momento in cui il datore di lavoro, che è sostituto d’imposta, opera la trattenuta dal cedolino paga in qualità di terzo pignorato/erogatore e la versa all’avvocato per estinguere il debito, deve operare la ritenuta e versarla con codice tributo 1049, dovrà inoltre emettere la relativa CU e dichiararla nel 770.
Esempio:
Netto del cedolino di gennaio: 2000 euro
Trattenuta per pignoramento: 400 euro
Ritenuta d’acconto versata cod. 1049: 80 euro
Importo netto versato all’avvocato per estinzione del debito: 380 euro
E se al datore di lavoro vengono notificati più pignoramenti relativi allo stesso dipendente ?
Nel caso in cui sulla medesima retribuzione agiscano sia una cessione del quinto che un pignoramento, ovvero più pignoramenti, notificati al lavoratore e al datore di lavoro per le motivazioni previste dalla norma, il dettato del D.P.R. 180/1950 (articolo 2) prevede limiti ulteriori: “Gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti, nonché le pensioni, le indennità che tengono luogo di pensione e gli altri assegni […] sono soggetti a sequestro ed a pignoramento nei seguenti limiti:
1) fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto di ritenute, per causa di alimenti dovuti per legge;
2) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per debiti verso lo Stato e verso gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d’impiego o di lavoro;
3) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, all’impiegato o salariato.
Il sequestro ed il pignoramento, per il simultaneo concorso delle cause indicate ai numeri 2, 3, non possono colpire una quota maggiore del quinto sopra indicato, e, quando concorrano anche le cause di cui ai numero 1, non possono colpire una quota maggiore della meta’, valutata al netto di ritenute, salve le disposizioni del titolo V nei caso di concorso anche di vincoli per cessioni e delegazioni.
Art.68
Quando preesistono sequestri o pignoramenti, la cessione, fermo restando il limite di cui al primo comma dell’art. 5, non può essere fatta se non limitatamente alla differenza tra i due quinti dello stipendio o salario valutati al netto delle ritenute e la quota
colpita da sequestri o pignoramenti. Qualora i sequestri o i pignoramenti abbiano luogo dopo una cessione perfezionata e debitamente notificata, non si può sequestrare o pignorare se non la differenza fra la metà dello stipendio o salario valutati al netto di ritenute e la quota ceduta, fermi restando i limiti di cui all’art. 2.
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