Rivalutazione del TFR e inflazione.
Con l’inizio del nuovo anno, l’inflazione produrrà un aumento dei costi per le aziende per effetto della rivalutazione del TFR. Si ipotizza infatti un coefficiente di rivalutazione del TFR quasi al 10%.
L’effetto sarà tanto più evidente tanto più è consistente l’accantonamento, quindi soprattutto per le aziende che hanno personale stabilizzato con una certa anzianità di lavoro.
Già l’anno scorso la rivalutazione al 4,35% aveva fatto lievitare gli accantonamenti, bisogna infatti considerare che le somme di anno in anno vengono progressivamente rivalutate e quindi l’inflazione che ha ripreso a correre provoca un andamento crescente dei costo del TFR che le aziende devono tenere sotto controllo.
Vediamo meglio come funziona il meccanismo:
Il fondo Tfr accantonato in azienda al 31 dicembre di ogni anno (escluso le quote maturate nell’anno stesso) deve essere rivalutato sulla base di un apposito coefficiente. La rivalutazione si effettua alla fine di ciascun anno o al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Il coefficiente di rivalutazione è composto da un tasso fisso (1,50% annuo) e da uno variabile, pari al 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, per le famiglie di operai e impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente. Nei casi di cessazione del rapporto di lavoro l’indice ISTAT è quello che risulta nel mese in cui è avvenuta l’interruzione.
L’ultimo dato sull’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati ( detto comunemente indice di inflazione) pubblicato dall’ISTAT il 16.11.2022 è l’indice di ottobre 2022: 117,2
L’incremento rispetto a dicembre 2021 quando l’indice valeva 106,2 è di ben 11 punti. Questo vuol dire che il coefficiente di rivalutazione da applicare ai dipendenti che cesseranno il loro rapporto dal 16 ottobre 2022 e il 16 novembre è: 9,018362 % .
(10*0,125)% + 0,75*(117,2-106,2)/106,2
Qui di seguito l’andamento mese per mese del coefficiente di rivalutazione monetaria nel 2022:
il trend è di una progressiva e decisa crescita.
Se paragonato ai coefficienti di rivalutazione degli anni scorsi, si vede come quest’anno l’effetto sarà esplosivo, dal 2003 il coefficiente non è mai stato così alto.
Non avendo ancora il dato dicembre, possiamo utilizzare l’ultimo coefficiente 9,018362 % per simulare il calcolo della rivalutazione per l’anno corrente:
consideriamo un lavoratore assunto dal 2000 ha un TFR al 31.12.2021 di 49.000 euro, a fine anno 2022 avrà TFR maturato nell’anno di 2000 euro e una rivalutazione lorda del 9,018362% pari a 4’419 euro, al netto dell’imposta sostitutiva del 17% pari a 3667 euro, cioè la rivalutazione contribuisce all’incremento dell’accantonamento più della quota maturata nell’anno corrente.
In periodi di inflazione crescente, la possibilità di trasferire il TFR in un fondo di previdenza risulta vantaggiosa anche per il datore di lavoro. Infatti in questo modo l’azienda deve versare solo il TFR maturato di anno in anno al fondo di previdenza o piano di accumulo scelto dal lavoratore dipendente e non risente degli effetti dell’inflazione.
Dal punto di vista del datore di lavoro ha senso mantenere il TFR in azienda solo se la redditività della propria attività è tale da essere maggiore del tasso di inflazione perché comunque mantenere quei fondi e magari utilizzarli per gli investimenti ha un costo, che è appunto quello del tasso di rivalutazione legato all’inflazione.
Anche quando i dipendenti non optano per il conferimento del TFR ad un fondo di previdenza o piano di accumulo, il datore di lavoro può comunque accantonare tutto il TFR in un fondo aziendale che garantisca un certo rendimento, che almeno in parte recupera il tasso di inflazione e mitiga l’effetto di aumento dei costi che questo genera nelle fasi economiche come questa.
Fonte: ISTAT
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